Salus populi suprema lex esto “Il bene del popolo sia la legge suprema” Marco Tullio Cicerone De legibus, IV.
Riprendendo l’ultima parte della presentazione e prefazione alla rivista, e per dare continuità allo spirito della stessa rivista, è necessario iniziare questa “avventura” ricordando quanto detto da uno dei padri dei fondamenti del Diritto: Marco Tullio Cicerone, che rispondendo agli interrogativi di Attico e del fratello Quinto (interlocutori nel dialogo), affronta il tema cruciale con il De legibus, quello del fondamento della giustizia.
“Se la giustizia consiste nell’ottemperare alle leggi scritte e alle usanze, e se, come quelli dicono, tutto si deve misurare in base all’utile, trascurerà e violerà le leggi, se potrà, chiunque creda che ciò gli sia utile . Ne deriva che non esiste affatto la giustizia, se non è naturale: ciò che si stabilisce in base all’utilità, si distrugge pure in base all’utilità. Se non è la natura che avalla il diritto, tutte le virtù scompaiono: dove vanno a finire la generosità, l’amor di patria, la fede, la volontà di far del bene ad altri o di serbare riconoscenza? Tutto ciò nasce dal fatto che per natura siamo propensi ad amare gli altri, e questo è il fondamento del diritto. E non solo il riguardo verso gli uomini, ma anche la religiosità e il culto degli dei viene eliminato, perché io credo che debba essere conservato non per paura, ma per quel legame che esiste tra uomo e dio. Se il diritto si costituisse in base alla volontà popolare, ai decreti dei principi, alle sentenze dei giudici, diritto sarebbe allora rubare, commettere adulterio, uccidere, falsificare i testamenti, alla sola condizione che ciò fosse approvato dai voti o dai decreti della massa. Ma se il volere e il parere degli sciocchi hanno tanto potere da cambiare col loro voto la natura, perché non decretano anche che sia considerato buono e salutare quello che è cattivo e pernicioso? Se la legge può trasformare l’ingiustizia in diritto, perché non potrebbe anche trasformare il bene in male? Ma solo rifacendoci alla norma della natura noi possiamo distinguere una buona da una cattiva legge, e per natura si distinguono non solo il diritto e l’ingiustizia, ma anche ciò che fa onore e ciò che fa vergogna. Poiché l’intelligenza comune ci ha fatto conoscere le cose e le ha impiantate nel nostro animo, ciò che fa onore è ascritto alla virtù, ciò che fa vergogna ai vizi, ed è da pazzi pensare che questi giudizi dipendano dall’opinione e non dalla natura”
Ma la vera legge, prosegue Cicerone, è solo quella norma “che distingue ciò che è giusto e ciò che è ingiusto secondo la natura stessa delle cose … In caso diverso, una legge non solo non dovrebbe essere considerata tale, ma neppure dovrebbe averne il nome” Dagli scritti di Cicerone s’intuisce che la giu¬stizia viene ad essere distrutta dall’utilitarismo, che ha fini costantemente fluttuanti. Pertanto, con la formulazione di buone leggi si potrà giudicare secondo la natura, ed il senti¬mento naturale di ciò che è giusto e di ciò che è sbagliato, che fornisce il criterio per giu¬dicare. E secondo un pensiero ciceroniano, “le leggi identificano e garantiscono, ma non creano i diritti umani”. Così è bene ricordare tra le fonti ispiratrici e guida oltre del nostro vivere altresì ideatrice anche del nostro interloquire qui di Diritto a cui ai fondamenti della nostra Costituzione, si ritiene di ispirarsi e seguire. Oltre a tenere fede a quelli che sono i principi fondamenti contenuti nella nostra Carta Costituzionale dall’art. 1 al 12, e nel rispetto di quelli che sono non soli ai diritti, ma anche ai doveri dei cittadini contenuti nella parte I titolo I della Costituzione agli artt. da 13 a 54; e soprattutto, per quanto riguarda l’art. 21 al 1 e 2 comma dove è stabilito che: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”.
Libertà di espressione che si affianca anche a quello di criticare che però non significa denigrare o offendere chi la pensa diversamente. Così il diritto di criticare provvedimenti legislativi e giudiziari in punto di diritto, che rappresenta una libertà di espressione e crescita culturale ad ogni livello che s’intende perseguire e che rappresenta altresì un baluardo Costituzionale. Nel rispetto di quel confine tra il diritto di critica e l’offesa all’altrui onore e reputazione. Offesa che quindi sconfina in due illeciti: l’ingiuria e la diffamazione. Si ingiuria qualcuno quando lo si offende mentre gli si parla in faccia o tramite il web. Si diffama qualcuno invece quando l’offesa viene pronunciata alle spalle della vittima, in sua assenza quindi, ed alla presenza di almeno altre due persone. E si può concludere con una celebre frase, sempre di Marco Tullio Cicerone: “chiunque può sbagliare, ma nessuno, se non è uno sciocco, persevera nell'errore” “Cuiusvis hominis est errare; nullius, nisi insipientis, in errore perseverare”