Tutelato il consumatore contro l’esecuzione, anche non opposta e divenuta definitiva, ed anche dopo la vendita, per i contratti -tra l’altro di mutuo, finanziamento e fideiussione- che presentano clausole considerate “abusive” dalle disposizioni e sentenze comunitarie.

Gregorio Pietro D’Amato[1]

1.Premessa dei fatti di causa. 2. Decisione delle SU. Cass. civ., Sez. Unite, Sent., (data ud. 07/02/2023) 06/04/2023, n. 9479 resa nell’interesse della legge. 3. I presupposti Giuridici della decisione a SU n. 9479/2023 della Suprema Corte di Cassazione. 4. Il seguito che intendono assicurare le SU alla sentenza della CGUE del 17 maggio 2022 in cause riunite C-693/19, SPV Project 1503, e C-831/19 a tutela dei consumatori. 5. Indicazioni dei giudici di legittimità ai giudici del merito per valutare le clausole abusive per i consumatori. 6. Primi effetti dei giudici di merito dopo la sentenza SU n. 9479/2023. 7.Conclusioni.

 

1.Premessa dei fatti di causa.

A seguito di stipula di contratto di fideiussione del 2007 la Banca Creditrice procedeva ad escutere il garante a seguito del mancato pagamento del garantito e non avendo ottenuto quanto richiesto procedeva all’esecuzioni sui beni immobili del fideiussore. Dopo la concessione del procedimento monitorio da parte del Tribunale di Sondrio la parte ingiunta non oppose.

Attraverso il titolo divenuto esecutivo la banca creditrice intervenne nella procedura di espropriazione immobiliare che era stata intrapresa, nei confronti della parte che si era resa fideiussore davanti al Tribunale di Busto Arsizio, per la procedura iniziata da altro creditore in forza di contratto di mutuo ipotecario rimasto inadempiuto.

La Banca Creditrice che aveva ottenuto il titolo esecutivo della sua debitrice in qualità di fideiussore cedette il suo credito che continuò nell’iniziata procedura esecutiva da parte del cessionario.

Disposta la vendita che venivano trasferiti in data 11 giugno 2019 con aggiudicazione e versamento del prezzo e il giudice dell'esecuzione procedeva a depositare il progetto di distribuzione della somma ricavata, che l'esecutata contestava, adducendo l'insussistenza del diritto di credito della cessionaria E. Srl in ragione della nullità del titolo costituito dal decreto ingiuntivo, giacché emesso da giudice territorialmente incompetente. Il giudice dell'esecuzione, con ordinanza del 24 ottobre 2020, dichiarava esecutivo il progetto di distribuzione depositato.

 Avverso tale ordinanza l’esecutata proponeva opposizione ex art. 617  c.p.c., ribadendo la precedente contestazione sulla nullità del titolo azionato esecutivamente, per essere stato il decreto ingiuntivo emesso da giudice territorialmente incompetente, in quanto adito sulla scorta di una clausola del contratto di fideiussione illegittimamente derogatrice del foro del consumatore (ossia, il Tribunale di Busto Arsizio, comune di residenza dell'ingiunta), qualità che essa poteva vantare anche come fideiussore alla luce del mutamento di giurisprudenza nella materia.

Ed il Tribunale di Busto Arsizio rigettava l'opposizione ex art. 617 c.p.c. con sentenza resa pubblica il 23 luglio 2021.

Ricorreva alla Suprema Corte per la cassazione di tale sentenza l’esecutata ai sensi della Cost., art. 111, comma 7, ricorso straordinario.

Il pubblico ministero ha depositato le proprie conclusioni scritte, con le quali ha chiesto che il giudizio venga dichiarato estinto, sollecitando, però, la Corte ad enunciare il principio di diritto nell'interesse della legge, ai sensi dell'art. 363 c.p.c.[2], reputando ciò necessario "a fronte della particolare rilevanza della questione e della situazione di grave incertezza interpretativa determinata dalle quattro recenti sentenze del 17 maggio 2022 della Corte di Giustizia, tutte relative ad analoghe vicende, inerenti le sorti del giudicato nazionale dinanzi alla normativa Eurounitaria qualificata inderogabile dalla CGUE.

Con provvedimento in data 7 luglio 2022, il Presidente titolare della Terza sezione civile ha rimesso gli atti al Primo Presidente, evidenziando che il ricorso pone una questione di massima di particolare importanza e coinvolge materie di competenza tabellare di diverse Sezioni civili della Corte, così da rendersi necessaria una pronuncia delle Sezioni Unite.

 

2. Decisione delle SU. Cass. civ., Sez. Unite, Sent., (data ud. 07/02/2023) 06/04/2023, n. 9479 resa nell’interesse della legge.

Le Sezioni unite dopo che il procedimento è stato dichiarato estinto ha ritenuto, tuttavia, e con decisione pienamente condivisibile e giusta a parere di chi scrive, di doversi soffermare su una questione di particolare importanza che trova origine proprio dalla proposizione del ricorso e di utilizzare, così, il potere, che l'art. 363 , comma 3, c.p.c., che assegna alla Corte di Cassazione, di enunciare il principio di diritto nell'interesse della legge; ciò che la declaratoria di estinzione conseguente alla rinuncia al ricorso non impedisce (Cass., S.U., 6 settembre 2010, n. 19051 ; Cass. S.U., 24 settembre 2018, n. 22438).

 Le SU rilevano che si tratta della questione che - come evidenziato sia dalla ricorrente, che dal pubblico ministero - è sorta a seguito di quattro coeve pronunce della CGUE, emesse dal Collegio della Grande Sezione in data 17 maggio 2022 (sentenza in C-600/19, Ibercaja Banco; sentenza in cause riunite C-693/19, SPV Project 1503, e C831/19, Banco di Desio e della Brianza; sentenza in C-725/19, Impuls Leasing Romania; sentenza in C-869/19, Unicaja Banco), una delle quali (sentenza in cause riunite C-693/19, SPV Project 1503, e C831/19, Banco di Desio e della Brianza) a seguito di rinvio pregiudiziale disposto dal Tribunale di Milano con ordinanze del 10 agosto 2019 e del 31 ottobre 2019.

Pertanto, la questione di diritto che scaturisce dalle citate sentenze del Giudice di Lussemburgo - e, segnatamente, dalla pronuncia da ultimo citata (di seguito anche soltanto: sentenza "SPV/Banco di Desio") - riveste una rilevanza davvero peculiare, pari alla complessità dei temi che essa intercetta, così da fornire evidente giustificazione all'intervento nomofilattico che queste Sezioni Unite intendono assumere ai sensi dell'art. 363 c.p.c..

Essa, per i connotati che la caratterizzano e per le implicazioni che ne discendono, si presta, altresì, ad essere esempio paradigmatico di come possa trovare virtuosa applicazione con il nuovo istituto che prevede il rinvio pregiudiziale di cui all'art. 363 bis  c.p.c[3]. rimesso alla valutazione del giudice di merito in base a concorrenti presupposti (questione di diritto, necessaria alla definizione anche parziale del giudizio non ancora risolta da questa Corte di cassazione, che presenta gravi difficoltà interpretativa e che è suscettibile di porsi in numerosi giudizi), tutti ricorrenti nel caso in esame.

Le SU precisano in maniera chiara e condivisibile che l'enunciazione del principio di diritto nell'interesse della legge, ex art. 363 c.p.c., non ha "un carattere meramente esplorativo o preventivo", ma si lega necessariamente alla fattispecie concreta oggetto di cognizione (Cass., S.U., n. 404/2011 e Cass., S.U., n. 23469/2016).

E ciò anche là dove la norma anzidetta intesta tale potere direttamente in capo alla Corte di cassazione (comma 3 dell'art. 363 c.p.c.) e ne attiva, dunque, la funzione nomofilattica pur a prescindere, eccezionalmente, dalla decisione sul fondo delle censure con effetti sul concreto diritto dedotto in giudizio.

Dunque, anche nell'applicazione dell'istituto del principio di diritto nell'interesse della legge rimane viva e vitale quella necessaria compenetrazione tra l'esercizio dei compiti di nomofilachia e i "fatti della vita" portati dalle parti dinanzi al giudice. Ciò dà fondamento alle ragioni di una disciplina che, a fronte di questioni di diritto e di fatto rivestenti particolare importanza, consente di pronunciare una regola di giudizio che, sebbene non influente sulla concreta vicenda processuale, serva tuttavia come criterio di decisione di casi analoghi o simili (tra le altre, Cass., S.U., n. 27187/2007  e Cass., S.U., n. 19051/2010).

Pertanto, le SU richiamo proprio alla funzione e compito nomofilattico a cui è chiamate la Corte di Cassazione ed in particolare le SU, e come del resto già chi scrive ha evidenziato che gli arresti a SU le corti di merito dovrebbero attenersi per non “intasare” la corte di legittimità[4] con decisioni uguali sotto un punto di vista del diritto tanto che le stesse sezioni di legittimità adottano ordinanze e non sentenze per l’evidente e pacifica decisione in diritto già decisa.

  Le SU evidenziano che la fattispecie che qui rileva ha riguardo attiene all'emissione di un decreto ingiuntivo in favore di un professionista che il consumatore non ha opposto, lamentando, però, in sede di procedura esecutiva per il soddisfo del credito ingiunto, l'omesso rilievo officioso del giudice del procedimento monitorio su una clausola abusiva (nella specie, di deroga del foro del consumatore) presente nel contratto fonte di quel credito e, quindi, chiedendo al giudice dell'esecuzione di farsi carico del controllo sull'abusività della clausola contrattuale.

Avendo le strette coordinate della pronuncia da adottare ai sensi dell'art. 363 c.p.c. sono, dunque, quelle, soltanto, della tutela consumeristica di cui alla direttiva 93/13/CEE, concernente l'abusività di clausole presenti in contratto concluso con professionista, nel contesto dell'anzidetta specifica scansione processuale di diritto nazionale.

La sentenza della CGUE in cause riunite C-693/19, SPV Project 1503, e C-831/19, Banco di Desio e della Brianza

Pernato le SU hanno stabilito il seguente principio di diritto si badi bene non per il caso de quo ma nell'interesse della legge, e quindi si ritine valido erga omnes in quanto impone al Giudice di merito di ottemperare agli enunciati e seguenti principi di diritto:

  1. Fase monitoria:

Il giudice del monitorio:

a) deve svolgere, d'ufficio, il controllo sull'eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto stipulato tra professionista e consumatore in relazione all'oggetto della controversia;

b) a tal fine procede in base agli elementi di fatto e di diritto in suo possesso, integrabili, ai sensi dell'art. 640 c.p.c., con il potere istruttorio d'ufficio, da esercitarsi in armonia con la struttura e funzione del procedimento d'ingiunzione:

b.1.) potrà, quindi, chiedere al ricorrente di produrre il contratto e di fornire gli eventuali chiarimenti necessari anche in ordine alla qualifica di consumatore del debitore;

b.2) ove l'accertamento si presenti complesso, non potendo egli far ricorso ad un'istruttoria eccedente la funzione e la finalità del procedimento (ad es. disporre c.t.u.), dovrà rigettare l'istanza d'ingiunzione;

c) all'esito del controllo:

comma 1) se rileva l'abusività della clausola, ne trarrà le conseguenze in ordine al rigetto o all'accoglimento parziale del ricorso;

comma 2) se, invece, il controllo sull'abusività delle clausole incidenti sul credito azionato in via monitoria desse esito negativo, pronuncerà decreto motivato, ai sensi dell'art. 641 c.p.c., anche in relazione alla anzidetta effettuata delibazione;

comma 3) il decreto ingiuntivo conterrà l'avvertimento indicato dall'art. 641 c.p.c., nonchè l'espresso avvertimento che in mancanza di opposizione il debitore-consumatore non potrà più far valere l'eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto e il decreto non opposto diventerà irrevocabile.

  1. Fase esecutiva.

Il giudice dell'esecuzione:

a) in assenza di motivazione del decreto ingiuntivo in riferimento al profilo dell'abusività delle clausole, ha il dovere - da esercitarsi sino al momento della vendita o dell'assegnazione del bene o del credito - di controllare la presenza di eventuali clausole abusive che abbiano effetti sull'esistenza e/o sull'entità del credito oggetto del decreto ingiuntivo;

b) ove tale controllo non sia possibile in base agli elementi di diritto e fatto già in atti, dovrà provvedere, nelle forme proprie del processo esecutivo, ad una sommaria istruttoria funzionale a tal fine;

c) dell'esito di tale controllo sull'eventuale carattere abusivo delle clausole - sia positivo, che negativo - informerà le parti e avviserà il debitore esecutato che entro 40 giorni può proporre opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell'art. 650 c.p.c. per fare accertare (solo ed esclusivamente) l'eventuale abusività delle clausole, con effetti sull'emesso decreto ingiuntivo;

d) fino alle determinazioni del giudice dell'opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell'art. 649 c.p.c., non procederà alla vendita o all'assegnazione del bene o del credito;

e) se il debitore ha proposto opposizione all'esecuzione ex art. 615, comma 1, c.p.c., al fine di far valere l'abusività delle clausole del contratto fonte del credito ingiunto, il giudice adito la riqualificherà in termini di opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c. e rimetterà la decisione al giudice di questa (translatio iudicii);

f) se il debitore ha proposto un'opposizione esecutiva per far valere l'abusività di una clausola, il giudice darà termine di 40 giorni per proporre l'opposizione tardiva - se del caso rilevando l'abusività di altra clausola - e non procederà alla vendita o all'assegnazione del bene o del credito sino alle determinazioni del giudice dell'opposizione tardiva sull'istanza ex art. 649 c.p.c. del debitore consumatore.

iii. Fase di cognizione

 Il giudice dell'opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c.:

a) una volta investito dell'opposizione (solo ed esclusivamente sul profilo di abusività delle clausole contrattuali), avrà il potere di sospendere, ex art. 649 c.p.c., l'esecutorietà del decreto ingiuntivo, in tutto o in parte, a seconda degli effetti che l'accertamento sull'abusività delle clausole potrebbe comportare sul titolo giudiziale;

b) procederà, quindi, secondo le forme di rito.

 Pertanto, da oggi in poi il giudice a quo si ritine che non valutare ed attenersi ai principi di diritto sopra riportati.

 

3. I presupposti Giuridici della decisione a SU n. 9479/2023 della Suprema Corte di Cassazione.

E’ stato ricordato da autorevole giurista [5] che: “la Cassazione deve applicare oltre alle norme del suo ordinamento nazionale, anche quelle dell’Unione europea. L’art. 117 Cost. dispone che “la potestà legislativa è esercitata dalla Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”. Si specifica così il consenso espresso dall’art. 11 Cost., in condizioni di parità con gli altri Stati, alle “limitazioni di sovranità” necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le nazioni”.

Sempre dal citato intervento s.v. sub in nota è stato evidenziato che allorquando una decisione richiede sul possibile contrasto tra una norma e i diritti riconosciuti a livello costituzionale allora il giudice comune dovrebbe fare un’operazione di self-restraint, rimettendosi tendenzialmente al giudizio di chi è specificamente attrezzato per tale tipo di valutazioni.

Continua il primo Presidente nel precitato intervento che: “La controprova è nella efficacia erga omnes che la decisione del giudice costituzionale può assumere, in quanto, anche se occasionata da una specifica controversia, essa è diretta a rimodellare l’ordinamento alla luce della Costituzione con efficacia generale e non limitata alla soluzione dello specifico caso. E questo è un chiaro vantaggio per la ricalibratura del sistema ordinamentale che ne deriva”.

Fatta questa doverosa premessa la sentenza delle SU , e come si legge anche nella stessa parte di motivazione, si colloca armonicamente nel contesto del tradizionale perimetro entro il quale, in conformità a quanto disposto dagli artt. 19, p. 1, TUE e 267 TFUE, si svolge, al fine di garantire un'interpretazione unitaria delle norme dell'ordinamento dell'Unione (quale obiettivo imprescindibile per la stessa sopravvivenza di tale ordinamento), l'esercizio della competenza attribuita alla Corte di Lussemburgo e si assegna valore di ulteriori e vincolanti fonti del diritto Eurounitario ai sensi della Cost., artt. 11  e 117 , comma 1: così, segnatamente, Corte Cost., sentenza n. 263 del 2022[6]  alle sentenze della medesima Corte, la cui interpretazione, avente efficacia erga omnes nell'ambito dell'Unione, chiarisce e fissa il significato, nonchè i limiti di applicazione, delle norme di quel diritto nel senso in cui deve o avrebbe dovuto essere inteso e applicato sin dalla data della sua entrata in vigore (tra le altre, CGUE, sentenza 22.11.2017, in C-251/16, Cussens; CGUE, sentenza 7.8.2018, in C-300/17, Hochtief; CGUE, sentenza 10.3.2022, in C-177/20, Grossmania; così anche Corte Cost., sentenze n. 113 del 1985 , n. 285 del 1993, n. 227 del 2010 , n. 54 del 2022 , n. 263 del 2022 , citata; Cass., 11 dicembre 2012, n. 22577  e Cass., 3 marzo 2017, n. 5381).

  Come ricordato dalla corte Costituzionale 263 del 2022, si veda in questa rivista aprile 2023 pag. 79 e segg.,  “il dovere di attenersi ai vincoli derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea ricomprende le sentenze rese dalla CGUE in sede interpretativa, in conformità al ruolo che l'art. 19, par. 1, del Trattato sull'Unione europea le assegna, anche per le sentenze che dichiarano l'invalidità di un atto dell'Unione, dal momento che la sentenza pregiudiziale ha valore non costitutivo bensì puramente dichiarativo, con la conseguenza che i suoi effetti risalgono, in linea di principio, alla data di entrata in vigore della norma interpretata. In virtù degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., la Corte costituzionale è garante del rispetto di tali vincoli e, pertanto, deve dichiarare l'illegittimità costituzionale di una norma che contrasta con il contenuto di una direttiva, come interpretata dalla Corte di giustizia in sede di rinvio pregiudiziale, con una sentenza dotata di efficacia retroattiva”.

Rendendosi cogente l'interpretazione fornita dalla CGUE (ovviamente, non soltanto con la sentenza "SPV/Banco di Desio") degli artt. 6 e 7 della citata direttiva 93/13/CEE . E', dunque, da ribadirsi quel rapporto di complementarietà - messo in risalto da Cass., S.U., 30 ottobre 2020, n. 24107  (con estesi richiami alla giurisprudenza Eurounitaria) - che si instaura, in funzione cooperativa, tra la Corte di Giustizia dell'Unione Europea e il giudice nazionale, tale da costituire quest'ultimo non solo quale "giudice comunitario di diritto comune", ma anche di riservagli, in via esclusiva, il potere sia di interpretare il diritto interno - rendendolo, però, conforme al diritto dell'Unione o anche di disapplicarlo, ove ciò sia consentito -, sia di applicare, nel caso concreto, il diritto unionale come interpretato dalla Corte di Giustizia (CGUE, sentenza 5.4.2016, in C-689/13, PFE; CGUE, sentenza 24.9.2019, in C-573/17, Poplawski; CGUE, Grossmania, cit.).

In effetti le sentenze della Corte di Giustizia Europea ed a cui le SU fanno riferimento per la pronuncia afferivano alla richiesta se “l'art. 6, paragrafo 1, e l'art. 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 debbano essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale la quale prevede che, qualora un decreto ingiuntivo emesso da un giudice su domanda di un creditore non sia stato oggetto di opposizione proposta dal debitore, il giudice dell'esecuzione non possa - per il motivo che l'autorità di cosa giudicata di tale decreto ingiuntivo copre implicitamente la validità delle clausole del contratto che ne è alla base, escludendo qualsiasi esame della loro validità - successivamente controllare l'eventuale carattere abusivo di tali clausole. Nella causa C-831/19, esso chiede altresì se la circostanza che, alla data in cui il decreto ingiuntivo è divenuto definitivo, il debitore ignorava di poter essere qualificato come "consumatore" ai sensi di tale direttiva abbia una qualsivoglia rilevanza al riguardo".

A tale richiesta la corte europea ha, dato la seguente risposta:

"L'art. 6, paragrafo 1, e l'art. 7 , paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE  del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale la quale prevede che, qualora un decreto ingiuntivo emesso da un giudice su domanda di un creditore non sia stato oggetto di opposizione proposta dal debitore, il giudice dell'esecuzione non possa - per il motivo che l'autorità di cosa giudicata di tale decreto ingiuntivo copre implicitamente la validità delle clausole del contratto che ne è alla base, escludendo qualsiasi esame della loro validità - successivamente controllare l'eventuale carattere abusivo di tali clausole. La circostanza che, alla data in cui il decreto ingiuntivo è divenuto definitivo, il debitore ignorava di poter essere qualificato come "consumatore" ai sensi di tale direttiva è irrilevante a tale riguardo".

L'iter della decisone si articola sulle seguenti circostanze:

- al fine di ovviare allo squilibrio esistente tra consumatore e professionista, il giudice nazionale è tenuto a esaminare d'ufficio il carattere abusivo di una clausola contrattuale che ricade nell'ambito di applicazione della direttiva 93/13 (clausola abusiva che, ai sensi della norma imperativa di cui all'art. 6, par. 1, non vincola il consumatore), laddove disponga degli elementi di diritto e di fatto a tal riguardo necessari (p.p. 51-53);

- l'art. 7, par. 1, della direttiva 93/13 impone agli Stati membri di "fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l'inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e i consumatori" e, tuttavia, in assenza di armonizzazione delle procedure applicabili a tal fine, tali procedure, in forza del principio dell'autonomia processuale, rientrano nell'ordinamento giuridico interno degli Stati membri, "a condizione, tuttavia, che esse non siano meno favorevoli di quelle che disciplinano situazioni analoghe assoggettate al diritto interno (principio di equivalenza) e che non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dal diritto dell'Unione (principio di effettività)" (p.p. 53-54).

- Il principio dell'autorità di cosa giudicata riveste importanza sia nell'ordinamento giuridico dell'Unione sia negli ordinamenti giuridici nazionali (p. 57) e la stessa tutela del consumatore "non è assoluta", non imponendo il diritto dell'Unione "di disapplicare le norme processuali interne che attribuiscono autorità di cosa giudicata a una decisione, anche quando ciò permetterebbe di porre rimedio a una violazione di una disposizione, di qualsiasi natura essa sia, contenuta nella direttiva 93/13... fatto salvo tuttavia... il rispetto dei principi di equivalenza e di effettività" (p. 58).

- Il principio di equivalenza è nella specie rispettato, poichè "il diritto nazionale non consente al giudice dell'esecuzione di riesaminare un decreto ingiuntivo avente autorità di cosa giudicata, anche in presenza di un'eventuale violazione delle norme nazionali di ordine pubblico" (p. 59).

- Quanto al principio di effettività: a) esso, pur non potendo "supplire integralmente alla completa passività del consumatore interessato", impone di garantire l'effettività dei diritti spettanti ai singoli, nella specie, in base alla direttiva 93/13 ed implica "un'esigenza di tutela giurisdizionale effettiva", secondo quanto previsto dal citato art. 7, par. 1, nonchè dall'art. 47  CDFUE , "che si applica, tra l'altro, alla definizione delle modalità procedurali relative alle azioni giudiziarie fondate su tali diritti"; b) "in assenza di un controllo efficace del carattere potenzialmente abusivo delle clausole del contratto di cui trattasi, il rispetto dei diritti conferiti dalla direttiva 93/13 non può essere garantito"; c) "le condizioni stabilite dalle legislazioni nazionali, alle quali si riferisce l'art. 6, paragrafo 1, della direttiva 93-13, non possono pregiudicare la sostanza del diritto spettante ai consumatori in forza di tale disposizione... di non essere vincolati da una clausola reputata abusiva" (p.p. 60-63).

- "Una normativa nazionale secondo la quale un esame d'ufficio del carattere abusivo delle clausole contrattuali si considera avvenuto e coperto dall'autorità di cosa giudicata anche in assenza di qualsiasi motivazione in tal senso contenuta in un atto quale un decreto ingiuntivo può, tenuto conto della natura e dell'importanza dell'interesse pubblico sotteso alla tutela che la direttiva 93-13 conferisce ai consumatori, privare del suo contenuto l'obbligo incombente al giudice nazionale di procedere a un esame d'ufficio dell'eventuale carattere abusivo delle clausole contrattuali" (p. 65).

- "In un caso del genere, l'esigenza di una tutela giurisdizionale effettiva impone che il giudice dell'esecuzione possa valutare, anche per la prima volta, l'eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto alla base di un decreto ingiuntivo emesso da un giudice su domanda di un creditore e contro il quale il debitore non ha proposto opposizione" (p. 66).

E' opportuno muovere dal principio di autonomia procedurale degli Stati membri (ribadito dalla sentenza "SPV/Banco di Desio" ai p.p. 53-54) che, alla luce dell'evoluzione della giurisprudenza di Lussemburgo (dalle sentenze del 16.12.1976 - in C-33/76, Rewe e in C-45/76, Comet - in poi), va letto sotto la lente di quella interrelazione necessaria che l'ordinamento dell'Unione viene a comporre tra situazioni giuridiche soggettive da esso stabilite e la disciplina processuale degli Stati membri, quest'ultima - in assenza di misure di armonizzazione assunte da quell'ordinamento - deputata ad assicurare, alle prime, i rimedi atti a garantire una tutela giurisdizionale effettiva (art. 19, p. 1, comma 2, TUE), quale principio generale di diritto dell'Unione derivante dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e che, attualmente, trova affermazione nell'art. 47  CDFUE  (tra le altre, CGUE, sentenza 5.11.2019, in C-192/18, Commissione c. Polonia).

Ha, quindi, preso corpo, nel contesto di un assetto complessivo che vede primeggiare l'ordinamento sovranazionale, un meccanismo di complementarietà funzionale delle norme processuali nazionali rispetto al diritto Europeo sostanziale che, orientato dai principi di equivalenza ed effettività - nella calibrazione data ad essi, di volta in volta, dall'interpretazione della Corte di giustizia -, trova svolgimento in un processo dinamico e complesso di integrazione, tale che la disciplina interna sul processo, ove necessario, si debba flettere sino al punto di mostrarsi adeguata e congruente rispetto agli standard di garanzia richiesti dal diritto Eurounitario.

L'autonomia procedurale degli Stati membri, in materia di armonizzazione minima come quella regolata dalla direttiva 93/13/CEE , è, dunque, un valore che la stessa CGUE si preoccupa di tenere ben fermo, configurandolo come recessivo solo a certe condizioni, ossia per dare piena espansione ai principi di equivalenza ed effettività della tutela giurisdizionale.

Ciò sta a significare che le categorie e gli istituti di diritto processuale interno potranno mantenere intatto il proprio fisiologico Spa zio applicativo là dove sia possibile rinvenire nel sistema, e fintanto che lo sia, l'apparato di tutela giurisdizionale che garantisca appieno l'effettività del diritto Eurounitario, per come interpretato dalla CGUE nel suo ruolo di fonte del diritto e, dunque, nell'esercizio della sua funzione nomogenetica.

E' una prospettiva, quindi, che porta ad individuare nell'ordinamento processuale interno la disciplina adeguata a quello scopo, nel rispetto della struttura e funzione degli istituti che essa configura (e, dunque, delle categorie giuridiche in tanto implicate), operando, però, su di essa, ove necessario, quegli adattamenti che sono imposti dal diritto unionale in funzione della tutela della posizione soggettiva da esso regolata.

Di qui, come detto, il compito, cruciale, affidato al giudice nazionale/giudice comune Europeo, che, in siffatta opera di coordinamento ed integrazione attraverso gli strumenti (ormai istituzionali) dell'interpretazione conforme (sin dalla sentenza 10.4.1984, in C-14/83, Von Colson, e proprio in riferimento all'interpretazione di una direttiva, da intendersi alla luce della lettera e dello scopo di quest'ultima, al fine di conseguire il risultato indicato dall'art. 189 CEE e ora dall'art. 288  TFUE ) e, se del caso (poichè la relativa attivazione si pone come sussidiaria rispetto all'interpretazione conforme: CGUE, sentenza 24.1.2012, in C282/10, Dominguez), della disapplicazione, dà, alfine, concretezza al principio di leale collaborazione di cui all'art. 4 TUE, in forza del quale gli Stati membri sono tenuti ad assicurare la conformità dell'ordinamento interno al diritto dell'Unione.

 

4. Il seguito che intendono assicurare le SU alla sentenza della CGUE del 17 maggio 2022 in cause riunite C-693/19, SPV Project 1503, e C-831/19 a tutela dei consumatori.

Le SU con l’importantissimo e dirompente arresto de quo ed il terreno, giuridico e culturale su cui deve misurarsi il successivo effetto di tali arresti europei.

Per assicurare alla sentenza della CGUE del 17 maggio 2022 in cause riunite C-693/19, SPV Project 1503, e C-831/19, Banco di Desio e della Brianza, la quale - in estrema sintesi - ha affermato che, ove il consumatore non abbia fatto opposizione avverso un decreto ingiuntivo non sorretto da alcuna motivazione in ordine alla vessatorietà delle clausole presenti nel contratto concluso con il professionista e posto a fondamento del credito azionato da quest'ultimo, la "valutazione" (il "controllo") sull'eventuale carattere abusivo di dette clausole deve poter essere effettuata dal giudice dell'esecuzione dinanzi al quale si procede per la soddisfazione di quel credito.

E del resto le SU richiamano a supporto di tale interpretazione il dictum della CGUE, per la sua portata incidente - nella specifica materia implicata - sull'efficacia di giudicato che, alla luce del diritto vivente (tra le molte: Cass., 7 ottobre 1967, n. 2326; Cass., 7 luglio 1969, n. 2508; Cass., 20 aprile 1996, n. 3757 ; Cass., 11 giugno 1998, n. 5801 ; Cass., S.U., 16 novembre 1998, n. 11549 ; Cass., 24 novembre 2000, n. 15178 ; Cass., 24 marzo 2006, n. 6628 ; Cass., 6 settembre 2007, n. 18725 ; Cass., 28 agosto 2009, n. 18791 ; Cass., 11 maggio 2010, n. 11360 ; Cass., 25 ottobre 2017, n. 25317 ; Cass., 28 novembre 2017, n. 28318 ; Cass., 18 luglio 2018, n. 19113 ; Cass., 24 settembre 2018, n. 22465 ; Cass., 4 novembre 2021, n. 31636 ), si viene a determinare, in conseguenza della mancata opposizione al decreto ingiuntivo, non solo sulla pronuncia esplicita della decisione, ma anche sugli accertamenti che ne costituiscono i necessari e inscindibili antecedenti o presupposti logico-giuridici, non pone affatto in crisi gli equilibri di quel rapporto, stabile e fecondo, tra ordinamenti, i quali - soprattutto a partire dal Trattato di Maastricht e con l'avvento della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (CDFUE) e, quindi, del Trattato di Lisbona - mirano ad una integrazione sempre più profonda, i cui orizzonti si aprono ad un territorio più vasto di quello, tradizionale, in cui rivestiva centralità assorbente l'efficienza del mercato, per annettervi, non soltanto in via mediata, le esigenze di tutela della persona e, quindi, per costruire una "comunità di diritti".

 Un siffatto contesto, sempre più maturo, ha alimentato una declinazione anche in termini personalistici della figura del consumatore, alla quale i Trattati assegnano un ruolo centrale "nella definizione e nell'attuazione di altre politiche o attività dell'Unione" (art. 12  TFUE), tale da garantirne un elevato livello di protezione che va oltre gli interessi strettamente economici (pur presenti e rilevanti), per estendersi alla salute e alla sicurezza (art. 169  TFUE ), in un'ottica che la Carta di Nizza complessivamente ascrive al principio di solidarietà (art. 38  CDFUE ), ossia a quel paradigma comune alle tradizioni costituzionali degli Stati membri che, come malta preziosa, fa da collante tra i diritti e i doveri del singolo nell'ambito di una collettività.

E' una prospettiva alla cui concretezza cooperano anche gli obiettivi e l'economia generale della direttiva 93/13/CEE , la quale, in armonia con le previsioni dei Trattati e della CDFUE, "nel suo complesso, costituisce un provvedimento indispensabile per l'adempimento dei compiti affidati all'Unione e, in particolare, per l'innalzamento del livello e della qualità della vita all'interno di quest'ultima" (CGUE, sentenze: del 26.10.2006, in C-168/05, Mostaza Claro; del 4.6.2009, in C-243/08, Pannon GSM; del 6.10.2009, in C-40/08, Asturcom Telecomunicaciones; del 14.6.2012, in C-618/10, Banco E Spa ñol de Crèdito).

Trattasi, quindi, di obiettivi valoriali comuni ai Paesi dell'Unione e che, in ambito nazionale, possono rinvenirsi in quella correlazione - cui dà risalto, segnatamente, la giurisprudenza costituzionale in sintonia con le coordinate dell'ordinamento sovranazionale - tra protezione degli interessi dei consumatori e utilità sociale, nonchè sicurezza, libertà, dignità umana (alle quali la legge costituzionale n. 1 del 2022  ha aggiunto salute ed ambiente), che la Cost., comma 2 dell'art. 41 ha assunto a limiti generali della libertà di iniziativa economica garantita dal comma 1 della stessa norma della Carta fondamentale (tra le altre: Corte Cost., sentenze n. 270 del 2010  e n. 210 del 2015  e, in precedenza, la sentenza n. 241 del 1990; cfr. anche, per la giurisprudenza di legittimità, Cass., S.U., 12 dicembre 2014, n. 26242  e n. 26243).

 Pertanto, è proprio tramite gli artt. 6 e 7 della citata direttiva, alla stregua della lettura che ne ha dato la CGUE con la sentenza "SPV/Banco di Desio", nel solco dei propri precedenti in materia (oltre a quelli citati al p. 5.1., cfr. CGUE: sentenza 14.3.2013, in C-415/11, Aziz; sentenza 13.9.2018, in C-176/17, Profi Credit Polska; sentenza 20.9.2018, in C-448/17, EOS KSI; inoltre, successivamente al 17 maggio 2022, v. anche: CGUE, sentenza 30.6.2022, in C-170/21, Profi Credit Bulgaria), che si impone, nel contesto del rapporto contrattuale instauratosi tra professionista e consumatore, il riequilibrio della posizione strutturalmente minorata di quest'ultimo sia sotto il profilo del potere negoziale, che per il livello di informazione, così da esserne vulnerata la scelta, consapevole e razionale, volta a soddisfare, attraverso quel contratto, le esigenze quotidiane della vita.

Ciò che può ottenersi "solo grazie a un intervento positivo da parte di soggetti estranei al rapporto contrattuale" (così già CGUE, sentenza 27.6.2000, in cause riunite C-240/98 e C-244/98, Ocèano; successivamente, tra le altre, le citate sentenze Mostaza Claro e Asturcom Telecomunicaciones, nonchè CGUE: sentenza 9.11.2010, in C-137/08, VB Pènzügyi Lizing e sentenza 14.6.2012, C-618/10, Banco E Spa Piol de Crèdito), ossia, nella sede processuale, tramite il dovere del giudice investito dell'istanza di ingiunzione di esaminare d'ufficio il carattere abusivo della clausola contrattuale e di dare conto degli esiti di siffatto controllo.

Sicchè, l'inattività del giudice del procedimento monitorio, ove non rimediabile in una sede successiva (si veda anche la citata sentenza EOS KSI e, segnatamente, la sentenza in C-600/19, Ibercaja Banco, del 17.5.2022), impedirebbe definitivamente di colmare proprio nel processo quel dislivello sostanziale esistente tra i contraenti, facendo gravare la violazione dell'obbligo del rilievo officioso della abusività della clausola negoziale sul consumatore, sebbene questi sia rimasto privo di tutte le "informazioni" che gli sono dovute per porlo in condizione di determinare la portata dei suoi diritti (cfr. le citate sentenze Banco E Spa Piol de Crèdito ed EOS KSI, nonchè CGUE, sentenza 18.2.2016, in C-49/14, Finanmadrid) al fine di poter esercitare, per la prima volta, la propria difesa in sede di opposizione al decreto ingiuntivo "con piena cognizione di causa" (così la citata sentenza Ibercaja Banco).

E, tuttavia, è proprio la carente attivazione del giudice del monitorio - mancato rilievo officioso e omessa motivazione, imposti da norma imperativa (art. 6, par. 1, della direttiva 93/13/CEE ) - che comporta, secondo il diritto dell'Unione (nell'interpretazione vincolante della CGUE: cfr. anche sentenza Ibercaja Banco), che la decisione adottata, sebbene non fatta oggetto di opposizione, è comunque insuscettibile di dar luogo alla formazione, stabile e intangibile, di un giudicato, così da consentire anche nella contigua sede esecutiva, dove si procede per l'attuazione del diritto accertato, una riattivazione del contraddittorio impedito sulla questione pregiudiziale pretermessa (concernente, per l'appunto, l'assenza di vessatorietà delle clausole del contratto) e, quindi, di un meccanismo processuale (come si vedrà nel prosieguo) che possa rimettere in discussione anche l'accertamento sul bene della vita implicato dal decreto ingiuntivo, ossia il credito riconosciuto giudizialmente.

In altri termini - ove si legga una tale vicenda attraverso la lente di una tradizionale e icastica descrizione della scansione processuale del procedimento monitorio -, sarebbe monca la provocatio ad opponendum (ossia la "provocazione a contraddire": Cass., S.U., 1 marzo 2006, n. 4510 ) che il decreto ingiuntivo innesca, richiedendo che il debitore si attivi entro un certo termine per evitare altrimenti la c.d. impositio silentii (il giudicato o la c.d. "preclusione da giudicato": la citata Cass., S.U., n. 4510/2006 ) sul provvedimento d'ingiunzione emesso.

Dunque, nel nostro caso (ma analogamente in quello di cui alla coeva sentenza Ibercaja Banco), è proprio l'impedimento al contraddittorio, differito, sulla pregiudiziale dell'abusività delle clausole, conseguente all'omissione del giudice, che frustra il diritto di azione e difesa del consumatore, vulnerandone in modo insostenibile la tutela giurisdizionale effettiva, così da rendere vuota prescrizione anche quella, dettata dall'art. 7, par. 1, della direttiva 93/13/CEE  (in ragione del 24 Considerando), che impone agli Stati membri di predisporre "mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l'inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e i consumatori.

La tutela effettiva rimediale configurata, nella specie, dalla CGUE a fronte della violazione di una disciplina dal carattere imperativo specificamente dettata dal diritto dell'Unione (direttiva 93/13/CEE ), che quella tutela intende assicurare appieno, trova, infatti, radicamento in principi - del contraddittorio e del pieno dispiegamento del diritto di azione e di difesa in giudizio - che rappresentano, insieme all'imparzialità e terzietà del giudice, nonchè alla motivazione dei provvedimenti giudiziari, i cardini del "giusto processo" di cui agli artt. 47  CDFUE  e 6 CEDU e che, del pari, costituiscono il nucleo indefettibile delle garanzie fondamentali somministrate anche dalla Cost., artt. 24  e 111 , quali "principi supremi dell'ordine costituzionale italiano" (Corte Cost., sentenza n. 238 del 2014 ) che attengono all'esercizio della giurisdizione.

Le SU pertanto intendono percorrere nel dettare i principi nell'interesse della legge è quella:

  1. che si presta, anzitutto, ad operare, con convinzione, la necessaria saldatura tra ordinamenti, sovranazionale e interno, che è la cifra, anche culturale, attraverso la quale rendere concretamente operante il principio di effettività della tutela nella sua duplice declinazione, presente nelle pieghe della giurisprudenza della Corte di Lussemburgo, negativa (volta a superare gli ostacoli che, in ambito nazionale, si frappongono alla piena realizzazioni delle libertà e dei diritti riconosciuti dall'Unione) e pro-attiva (diretta ad individuare le misure e i rimedi idonei alla piena e Spa nsione della tutela di quelle libertà e di quei diritti).

Una via, che, al tempo stesso, sia però tale da preservare, sin dove il principio preminente anzidetto lo renda possibile, i doverosi margini di autonomia procedurale, ambito nel quale è dato tradurre, nei termini cooperativi innanzi evidenziati, il valore persistente dell'ordinamento processuale nazionale.

 

ii. Per la fase monitoria:

Secondo la giurisprudenza della CGUE (tra le altre: le citate sentenze Pannon, Banco E Spa nol de Credito, Aziz, Profi Credit Polska; inoltre, le sentenze: 9.11.2010, in C-137/08, VB Pènzügyi Lizing; 11.3.2020, in C-511/17, Lintner; 4.6.2020, in C-495/19, Kancelaria Medius; 30.6.2022, in C-170/21, Profi Credit Bulgaria), il giudice nazionale è tenuto ad esaminare d'ufficio la natura abusiva di una clausola contrattuale, connessa all'oggetto della controversia, purchè gli elementi di diritto e di fatto già in suo possesso suscitino seri dubbi al riguardo, dovendo, quindi, adottare d'ufficio misure istruttorie necessarie per completare il fascicolo, chiedendo alle parti di fornirgli informazioni aggiuntive a tale scopo.

Sono principi enunciati anche in riferimento al procedimento d'ingiunzione e, del resto, avuto riguardo proprio all'ingiunzione di pagamento Europea (IPE), disciplinata dal regolamento n. 1896-2006, la Corte di Lussemburgo ha affermato che il giudice investito della domanda del creditore può richiedere, anche d'ufficio, ed al fine di procedere all'esame del carattere eventualmente abusivo di alcune clausole, informazioni complementari ovvero la produzione di ulteriori documenti dalla parte interessata e che, pertanto, va considerata contraria al diritto dell'UE una normativa nazionale che qualifichi come irricevibili tali documenti aggiuntivi (sentenza 19.12.2019, in cause riunite C-453/18 e C-494/18, Bondora AS).

Sempre nel contesto del procedimento d'ingiunzione, nel quale, per l'appunto la partecipazione del debitore consumatore è consentita solo nella fase dell'opposizione al decreto monitorio, la CGUE ha affermato che il dovere del giudice di disapplicazione una clausola contrattuale abusiva può riguardare anche soltanto "una parte del credito fatto valere" e, in tale ipotesi, "il giudice dispone della facoltà di respingere parzialmente detta domanda, a condizione che il contratto possa sussistere senza nessun'altra modifica o revisione o integrazione, circostanza che spetta a detto giudice verificare" (così la citata sentenza Profi Credit Bulgaria).

Gli approdi della giurisprudenza Eurounitaria non pongono soverchi problemi di compatibilità con l'assetto processuale interno, delineato dagli artt. 633 -644  c.p.c., il quale rende certamente praticabile il doveroso controllo, da parte del giudice, sull'eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto stipulato tra professionista e consumatore, così, in ragione degli esiti del rilievo d'ufficio (sussistenza o meno della vessatorietà incidente, in tutto o in parte, sull'oggetto della domanda monitoria), da addivenire al rigetto del ricorso (che non preclude la riproposizione della domanda: art. 640 , ultimo comma, c.p.c.), ovvero al suo consentito accoglimento parziale (per tutte, Cass., S.U., n. 4510/2006 , citata; in armonia, quindi, con la surrichiamata sentenza della CGUE Profi Credit Bulgaria).

 

Del resto, non può, infatti, seguirsi a detta delle SU la diversa tesi secondo la quale il c.d. "diritto all'interpello" del consumatore imporrebbe al giudice di emettere il decreto ingiuntivo, evidenziando la presenza di uno o più profili di abusività delle clausole contrattuale, per invitare, poi, il consumatore stesso a prendere posizione sul punto mediante la proposizione dell'opposizione.

Saggiando il punto di rottura tra le esigenze di certezza dei rapporti giuridici, presidiate dal principio di immutabilità della decisione, e quelle di effettività della tutela del consumatore imposte dalla direttiva 93/13/CEE, assegnando, per le ragioni anzidette, prevalenza a quest'ultime.

Ma ancor prima, nel costringere il consumatore a proporre l'opposizione per far valere i propri diritti, si pone in contrasto con lo stesso principio del rilievo d'ufficio del carattere abusivo delle clausole contrattuali che anche nell'ambito del procedimento monitorio è funzionale all'effettività della tutela del consumatore sotto il profilo della non vincolatività delle clausole medesime, ai sensi dell'art. 6, par. 1, della anzidetta direttiva.

 

5. Indicazioni dei giudici di legittimità ai giudici del merito per valutare le clausole abusive per i consumatori.

I giudici di legittimità danno anche le indicazione a cui il giudice di merito dovranno d’ora in poi attenersi rispetto all'esercizio del controllo officioso cui è tenuto il giudice del monitorio sono i poteri istruttori consentiti dall'art. 640 , comma 1, c.p.c. (poteri, del resto, già valorizzati, sebbene in un diverso ambito, dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 410 del 2005 ); ciò, dunque, al fine di risolvere i seri dubbi, sorti in base agli elementi già in suo possesso, sulla presenza di clausole vessatorie (ovviamente anche in punto di competenza territoriale in violazione del foro, inderogabile, del consumatore di cui al D.Lgs. n. 206 del 2005 , art. 33 , comma 2, lett. u), che rendono "insufficientemente giustificata la domanda", impedendone l'accoglimento in tutto o in parte.

  1. Il giudice dovrà, quindi, sollecitare il ricorrente a "provvedere alla prova" del credito anche sotto il profilo che la relativa spettanza, in parte o per l'intero, non sia esclusa dai profili di abusività negoziale rilevati, a tal fine richiedendo che sia prodotta pertinente documentazione (anzitutto, il contratto su cui si basa il credito azionato) e/o che siano forniti i chiarimenti necessari.

Tuttavia, l'obbligo del rilievo officioso del giudice del monitorio in funzione dell'effettività della tutela del consumatore non si spinge sino a richiedere che l'esercizio dei poteri istruttori, in capo al medesimo giudice, sia tale da rendersi esorbitante rispetto alla struttura, funzione e finalità della fase inaudita altera parte come configurata dal legislatore nazionale, in cui condizione di ammissibilità della domanda d'ingiunzione è pur sempre la "prova scritta" (artt. 633 , comma 1, n. 1, e 634 c.p.c.).

Sicché, ove l'accertamento sulla vessatorietà imponga, per la sua complessità, un'istruzione probatoria non coerente con detta configurazione (ad es., richiedendosi l'assunzione di testimonianze o l'espletamento di c.t.u.), il giudice dovrà rigettare l'istanza d'ingiunzione, che il ricorrente, se riterrà, potrà comunque riproporre (evidentemente sulla scorta di ulteriori e più congruenti elementi probanti), o, invece, affidarsi alla "via ordinaria" (art. 640 , ultimo comma, c.p.c.).

Così letto il sistema, l'istanza di tutela che il diritto dell'Unione impone di soddisfare non trova ostacoli nel modello processuale di diritto interno, il quale con detta istanza verrebbe, invece, a confliggere ove interpretato nel senso che il controllo sull'abusività delle clausole non possa compiersi nel procedimento d'ingiunzione, poichè esso implicherebbe necessariamente il contraddittorio delle parti, sia in ragione delle circostanze di fatto su cui si basa (art. 34 , comma 1, del codice del consumo ), sia in ragione della perdita di celerità propria del rito che tale valutazione richiederebbe, con la conseguenza che il decreto dovrebbe essere comunque emesso e quel controllo rinviato in sede di giudizio di opposizione.

 L'art. 641  c.p.c. richiede che il decreto ingiuntivo sia "motivato".

Tale previsione è, in riferimento a credito vantato da professionista in forza di contratto stipulato con un consumatore, da leggersi in conformità al diritto dell'Unione e dunque - secondo l'interpretazione fornita dalla CGUE proprio nella sentenza "SPV/Banco di Desio" e in quella, coeva, Ibercaja Banco (dalla quale sentenza sono tratte le citazioni che seguono) - necessitando il provvedimento che accoglie la domanda di ingiunzione di una motivazione che, pur "sommariamente,... dia atto della sussistenza dell'esame" in base al quale il giudice "ha ritenuto che le clausole in discussione non avessero carattere abusivo", in modo da consentire al debitore consumatore di "valutare con piena cognizione di causa" (così la citata sentenza Ibercaja Banco) se occorra proporre opposizione avverso il decreto ingiuntivo.

Si tratta, dunque, di un obbligo di motivazione funzionale a dare al consumatore l'informazione circa l'assolvimento, da parte del giudice adito in via monitoria, del controllo officioso sulla presenza di clausole vessatorie a fondamento del contratto fonte del credito azionato dal professionista e che siano rilevanti rispetto all'oggetto della domanda di ingiunzione.

In quanto strumentale rispetto all'esercizio del diritto di difesa del consumatore nella fase processuale a contraddittorio pieno, una tale motivazione esige che nel decreto sia individuata, con chiarezza, la clausola del contratto (o le clausole) che abbia(no) incidenza sull'accoglimento, integrale o parziale, della domanda del creditore e che se ne escluda, quindi, il carattere vessatorio.

E', dunque, la chiara individuazione dei profili di abusività rilevanti rispetto all'oggetto dell'ingiunzione che assume centralità nell'assolvimento di detto obbligo motivazionale, questo ben potendo esprimersi in un apparato argomentativo estremamente sintetico (ad una sommaria motivazione, come detto, fa riferimento la CGUE), semmai strutturato anche per relationem al ricorso monitorio ove questo si presti allo scopo.

L'art. 641 , comma 1, c.p.c., inoltre, rende necessario che il decreto ingiuntivo contenga l'avvertimento che, nel termine di quaranta giorni, può essere fatta opposizione al decreto ingiuntivo "e che, in mancanza di opposizione, si procederà ad esecuzione forzata".

La disposizione, in parte qua, deve essere interpretata in senso conforme al diritto Eurounitario di cui alla direttiva 93/13/CEE  e, dunque, quell'avvertimento dovrà, altresì, rendere edotto il consumatore che, in assenza di opposizione, "decadrà dalla possibilità di far valere l'eventuale carattere abusivo" delle clausole del contratto (così la citata sentenza Ibercaja Banco).

Si tratta di una specificazione armonica rispetto alla ratio della norma, della quale è estesa la virtualità di significato già in nuce, che è nel senso di mettere sull'avviso il debitore circa l'immutabilità della decisione che troverà soddisfazione come tale.

Come anche rilevato dallo stesso pubblico ministero tramite un puntuale riferimento alla sentenza Ibercaja Banco, una volta che il decreto ingiuntivo presenti la motivazione e l'avvertimento anzidetti, la tutela del consumatore è da reputarsi rispettosa del canone dell'effettività e la maturazione del termine di cui all'art. 641  c.p.c., senza che sia stata proposta opposizione, non consentirà più successive contestazioni sulla questione di abusività delle clausole contrattuali.

B) il c.d. "seguito per il passato" (ovvero anche "per il futuro" ove il giudice del monitorio non osservi quanto indicato al punto A).

 La portata retroattiva delle sentenze interpretative della CGUE (rammentata al p. 4.1., che precede) impone di rinvenire anche per il "passato" - ossia a fronte di decreti ingiuntivi in precedenza emessi in difetto di quanto indicato sub A) e divenuti irrevocabili, nonchè di conseguenti procedimenti esecutivi ancora in corso (rispetto ai quali, dunque, il bene staggito o il credito pignorato non sia stato, rispettivamente, trasferito o assegnato, giacchè in tal caso il consumatore potrà soltanto attivare, in altro giudizio, il rimedio risarcitorio: così la sentenza Ibercaja Banco) - la soluzione che, nell'ambito dell'ordinamento processuale interno, assicuri al consumatore stesso tutela effettiva alla luce dei dicta della Corte di Lussemburgo.

Soluzione che, del pari, s'impone nell'ipotesi in cui il decreto ingiuntivo venga ancora emesso senza rispettare le indicazioni di cui al precedente punto A) e, come tale, divenga irrevocabile.

Si tratta, all'evidenza, della scelta ermeneutica maggiormente problematica, rispetto alla quale le proposte che la comunità degli interpreti ha individuato sono davvero plurime e articolate: da quelle che fanno appello essenzialmente a rimedi tipici della cognizione piena, lasciando al giudice dell'esecuzione soltanto il potere di rilevazione dei profili di abusività delle clausole contrattuali al fine esclusivo di sanare il difetto di controllo determinatosi nella fase monitoria; a quelle che, invece, prediligono un ruolo attivo del giudice dell'esecuzione anche nell'accertamento della vessatorietà, sebbene con efficacia circoscritta al processo esecutivo in corso.

La risposta che queste Sezioni Unite ritengono di dover privilegiare e, quindi, declinare in principio nomofilattico è quella che, a valle del rilievo sui profili di abusività della clausola contrattuale ad opera del giudice dell'esecuzione, fa applicazione della disciplina dell'opposizione tardiva a decreto ingiuntivo dettata dall'art. 650  c.p.c., con gli adeguamenti che per essa si rendono necessari in ragione di una piena conformazione al diritto unionale di cui alla direttiva 93/13/CEE , secondo l'interpretazione della CGUE. L'opzione interpretativa dell'opposizione tardiva ex art. 650  c.p.c. si fa preferire perchè - in armonia con la prospettiva in precedenza evidenziata (p.p. 5 e 6) - è capace di coniugare, meglio di altre (come si darà ragione più avanti), l'esigenza preminente della tutela effettiva del consumatore con l'esigenza, pur garantita dall'ordinamento sovranazionale, di rendere operante nella maggiore espansione possibile il principio di autonomia procedurale.

In assenza di motivazione del decreto ingiuntivo in riferimento al profilo dell'abusività delle clausole, il giudice dell'esecuzione (G.E.), sino al momento della vendita o dell'assegnazione del bene o del credito, ha il potere/dovere di rilevare d'ufficio l'esistenza di una clausola abusiva che incida sulla sussistenza o sull'entità del credito oggetto del decreto ingiuntivo.

All'esito, il G.E., se rileva il possibile carattere abusivo di una clausola contrattuale, ma anche se ritenga che ciò non sussista, ne informa le parti e avvisa il debitore consumatore (ciò che varrà come interpello sull'intenzione di avvalersi o meno della nullità di protezione) che entro 40 giorni da tale informazione - che nel caso di esecutato non comparso è da rendersi con comunicazione di cancelleria - può proporre opposizione a decreto ingiuntivo e così far valere (soltanto ed esclusivamente) il carattere abusivo delle clausole contrattuali incidenti sul riconoscimento del credito oggetto di ingiunzione.

Prima della maturazione del predetto termine, il G.E. si asterrà dal procedere alla vendita o all'assegnazione del bene o del credito

Ed analogo rilievo, ossia l'assenza di un termine per la proposizione, vale a maggior ragione per il rimedio dell'actio nullitatis.

- L'opposizione tardiva consente al debitore consumatore di recuperare la tutela, piena ed effettiva, di cui non ha potuto usufruire e permette al giudice di svolgere, in una sede di cognizione piena e nel pieno rispetto del principio del contraddittorio, quella delibazione integrale non effettuata in precedenza, con conseguente revoca del decreto ingiuntivo, totale o parziale, sia quando la nullità riguardi una clausola che inficia solo il quantum debeatur, sia quando essa incida integralmente sull'an debeatur, sempre che a tale declaratoria il consumatore non si opponga, giacchè trattasi comunque di nullità relativa e "a vantaggio" (cfr. Cass., S.U., 4 novembre 2019, n. 28314 ; analogamente, Cass., S.U., n. 26242  e n. 26243  del 2014, citate).

In tale evenienza (possibile soprattutto dopo la pubblicazione delle sentenze della CGUE del 17 maggio 2022), il giudice adito riqualificherà l'opposizione come opposizione tardiva ex art. 650  c.p.c. e rimetterà la decisione al giudice di questa, fissando un termine non inferiore a 40 giorni per la riassunzione (in applicazione dell'art. 50  c.p.c., in forza di interpretazione adeguatrice).

Se, poi, sia, allo stato, già in corso un'opposizione esecutiva ed emerga un problema di abusività delle clausole del contratto concluso tra consumatore e professionista, il giudice dell'opposizione rileverà d'ufficio la questione e interpellerà il consumatore se intende avvalersi della nullità di protezione. Ove il consumatore voglia avvalersene, il giudice darà al consumatore termine di 40 giorni per proporre l'opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c. e, nel frattempo, il G.E. si asterrà dal disporre la vendita o l'assegnazione del bene o del credito.

 

6. Primi effetti dei giudici di merito dopo la sentenza SU n. 9479/2023.

i. Il tribunale di Grosseto GE in data 14-17 maggio 2023 rg.438/2022 nella procedura esecutiva che lo vedeva investito della questione ha disposto la sospensione dell’esecuzione per DI non opposto e rinviato gli atti ex art. 650 c.p.c ha rimesso gli atti al Giudice di merito che valuti le clausole abusive riguardanti fideiussori che erano gli esecutati della procedura facendo tesoro e sulla scorta del chiaro arresto delle SU.

ii. Così il Tribunale di IVREA del 16 maggio 2023 che ha sospeso esecuzione dando i termini proporre opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c. in quanto l’esecutato fideiussore a sostegno dell’istanza formulata, abbia dedotto la nullità della clausola contenuta al punto 5) del contratto di fideiussione posto a sostegno dell’azione monitoria, laddove prevede la deroga al disposto dell’art. 1957 c.c. in quanto si porrebbe “in contrasto con le disposizioni di cui agli artt. 33 e 34 comma quarto del Codice del Consumo”, richiedendo l’assegnazione del termine per proporre opposizione ex art. 650 c.p.c. al fine di dedurre la predetta nullità e conseguentemente eccepire la decadenza della controparte per non aver proposto entro il termine di sei mesi le azioni nei confronti della società debitrice principale.

Anche qui sulla scorta del giudicato delle SU ed osservato come nel caso di specie, pur non trovandosi al cospetto di una ipotesi di c.d. giudicato implicito, conseguente ad un decreto ingiuntivo non oggetto di opposizione, bensì alla diversa fattispecie nella quale l’opposizione sia stata svolta ma il presunto vizio non sia stato dedotto dalla parte opponente questione non affrontata espressamente delle rilevato, inoltre, come la fattispecie esaminata presenta una ulteriore peculiarità correlata alla natura della censura sollevata dalla parte debitrice e alla posizione soggettiva della predetta, tenuto conto che la Suprema Corte, solo di recente e in ogni caso dopo l’emissione del decreto ingiuntivo posto a fondamento dell’azione esecutiva e del correlato giudizio di opposizione, nel dare seguito anche in questo caso a pronunce della Corte di Giustizia, abbia affermato che nel contratto di fideiussione, i requisiti soggettivi per l'applicazione della disciplina consumeristica devono essere valutati con riferimento alle parti di esso, senza considerare il contratto principale, come affermato dalla giurisprudenza unionale (CGUE, 19 novembre 2015, in causa C-74/15, Tarcau, e 14 settembre 2016, in causa C-534/15, Dumitras), dovendo pertanto ritenersi consumatore il fideiussore persona fisica che, pur svolgendo una propria attività professionale (o anche più attività professionali), stipuli il contratto di garanzia per finalità estranee alla stessa, nel senso che la prestazione della fideiussione non deve costituire atto espressivo di tale attività, né essere strettamente funzionale al suo svolgimento (cd. atti strumentali in senso proprio). (Nella specie, è stata ritenuta operante l'esclusività del foro del consumatore con riferimento al contenzioso tra banca e fideiussore non professionista, ancorché l'obbligato principale avesse assunto il debito garantito per lo svolgimento di attività d'impresa; cfr. Cass. VI-1, 16 gennaio 2020, n. 742 (conf. Cass. VI-3, 3 dicembre 2020, n. 27618; Cass. VI-3, 15 settembre 2021, n. 24993; Cass. VI-3, 14 ottobre 2021, n. 28217; Cass. VI-3, 16 novembre 2021, n. 34515).

Considerato, pertanto, come alla luce dei principi espressi tanto dalla Corte di Giustizia quanto dalle Sezioni Unite, pur riservando al giudice della cognizione ex art. 650 c.p.c. ogni valutazione in ordine alla applicabilità dei predetti principi anche all’ipotesi di giudicato formatosi a cognizione piena a seguito di opposizione avverso il decreto ingiuntivo laddove la nullità non sia stata dedotta dalla parte e/o rilevata dal giudice, nonché ogni valutazione correlata alla specifica natura della censura svolta e alla conseguente ipotetica decadenza del creditore ex art. 1957 c.c., debba essere da un lato assegnato il termine alla parte istante per proporre l’opposizione c.d. tardiva.

 

7.Conclusioni.

Si deve cogliere e condividere con plauso l’arresto della sentenza a Sezioni unite n. 9479/2023 in favore dei consumatori, tra l’altro per i fideiussori che avranno la possibilità (si vedano le decadenze ex art. 1957 c.c.), anche con provvedimenti definitivi o non opposti, di fermare l’esecuzione. In particolare il giudice dell'esecuzione: a) in assenza di motivazione del decreto ingiuntivo in riferimento al profilo dell'abusività delle clausole, ha il dovere – da esercitarsi sino al momento della vendita o dell'assegnazione del bene o del credito – di controllare la presenza di eventuali clausole abusive che abbiano effetti sull'esistenza e/o sull'entità del credito oggetto del decreto ingiuntivo; b) ove tale controllo non sia possibile in base agli elementi di diritto e fatto già in atti, dovrà provvedere, nelle forme proprie del processo esecutivo, ad una sommaria istruttoria funzionale a tal fine; c) dell'esito di tale controllo sull'eventuale carattere abusivo delle clausole – sia positivo, che negativo – informerà le parti e avviserà il debitore esecutato che entro 40 giorni può proporre opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell'art. 650 c.p.c. per fare accertare (solo ed esclusivamente) l'eventuale abusività delle clausole, con effetti sull'emesso decreto ingiuntivo; d) fino alle determinazioni del giudice dell'opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell'art. 649 c.p.c., non procederà alla vendita o all'assegnazione del bene o del credito; (ulteriori evenienze) e) se il debitore ha proposto opposizione all'esecuzione ex art. 615, primo comma, c.p.c., al fine di far valere l'abusività delle clausole del contratto fonte del credito ingiunto, il giudice adito la riqualificherà in termini di opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c. e rimetterà la decisione al giudice di questa (translatio iudicii); f) se il debitore ha proposto un'opposizione esecutiva per far valere l'abusività di una clausola, il giudice darà termine di 40 giorni per proporre l'opposizione tardiva – se del caso rilevando l'abusività di altra clausola – e non procederà alla vendita o all'assegnazione del bene o del credito sino alle determinazioni del giudice dell'opposizione tardiva sull'istanza ex art. 649 c.p.c. del debitore consumatore. 

Si ritine che tale arresto delle SU abbia una valenza per così dire “erga omnes” per come trae origine e fondatezza giuridica tale sentenza e resa ex art. 363 c.p.c. e dalle motivazioni che essa ha espresso, ed ora si attendono numerosi i provvedimenti che si conformeranno ai principi, si ritiene non eludibili, espressi dalle SU.

Ultima annotazione va espressa in merito all’ultima pubblicazione della Banca d’Italia del 23 febbraio 2023 dal titolo “La qualità del credito”, in cui è evidenziato un elevato stock di crediti deteriorati che tende ad avere conseguenze negative per le singole banche, sotto forma di compressione degli utili e minore capacità di raccogliere nuove risorse sul mercato. Se il problema è generalizzato all’intero sistema bancario esso potrebbe generare malfunzionamenti nel meccanismo di allocazione del credito. Una recente analisi condotta dalla Banca d'Italia evidenzia peraltro che l'offerta di finanziamenti bancari alle imprese italiane al 2022 è stata determinata dal livello elevato di crediti deteriorati. I crediti deteriorati delle banche sono esposizioni verso clienti che non sono in grado di adempiere in tutto o in parte alle proprie obbligazioni contrattuali a causa di un peggioramento della loro situazione economica e finanziaria.

Il rischio che tali NPL comportato a detta di alcuni contributi e resoconti di prefetti apparsi su organi di stampa per le innumerevoli società cessionarie per i crediti delle banche che avente natura di NPL acquistati a poco e riscossi in misura maggiore che vi possano essere delle infiltrazioni malavitose nell’economia legale.

Il meccanismo è abbastanza semplice con società veicolo regolarmente riconosciute ed autorizzate dall’autorità di vigilanza sono finanziate attraverso le più sofisticate modalità da fondi, per lo più esteri, dietro i quali si celano profitti malavitosi, che avendo forti disponibilità acquistato interi pacchetti di NPL dalle banche. A tal fine sarebbe opportuno un controllo più serrato da parte di banca d’Italia per valutare se il fenomeno può interessare capitali di fonte illecita. Il provvedimento come quello delle SU, non certo mira a evitare le storture malavitose, ma almeno consente di mitigare una indiscriminata esecuzioni anche sui poveri fideiussori o consumatori da parte di società cessionarie spregiudicate e, che, solo se sono serie avranno interesse a proseguire con le azioni che il nostro ordinamento ed europeo consentono per il dovuto e legittimo recupero consentono.

 

    

 

[1] Direttore Scientifico, dottore commercialista, giornalista.  

 

[2] 363 c.p.c. Quando le parti non hanno proposto ricorso nei termini di legge [c.p.c. 325] o vi hanno rinunciato [c.p.c. 306], ovvero quando il provvedimento non è ricorribile in cassazione e non è altrimenti impugnabile, il Procuratore generale presso la Corte di cassazione [c.p.c. 426] può chiedere che la Corte enunci nell'interesse della legge il principio di diritto al quale il giudice di merito avrebbe dovuto attenersi.

La richiesta del procuratore generale, contenente una sintetica esposizione del fatto e delle ragioni di diritto poste a fondamento dell'istanza, è rivolta al primo presidente, il quale può disporre che la Corte si pronunci a sezioni unite se ritiene che la questione è di particolare importanza.

Il principio di diritto può essere pronunciato dalla Corte anche d'ufficio, quando il ricorso proposto dalle parti è dichiarato inammissibile, se la Corte ritiene che la questione decisa è di particolare importanza.

La pronuncia della Corte non ha effetto sul provvedimento del giudice di merito.

 

[3] Introdotto dal D.Lgs. n. 10 ottobre 2022, n. 149, art. 3, comma 27, lett. c, con decorrenza dal 1 gennaio 2023 per effetto del D.Lgs. n. 149 del 2022 , art. 35 , comma 7, come sostituito dalla L. 29 dicembre 2022, n. 197 , art. 1 , comma 380, lett. a),

[5] Dott. Pietro Curzio Primo Presidente della Corte di Cassazione in occasione della giornata di Studio “Identità nazionale degli stati membri, primato del diritto dell’unione europea, stato di diritto e indipendenza dei giudici nazionali” pagg. 56 e segg. per le celebrazioni del 70° anniversario della corte di giustizia dell’unione europea.  Roma, palazzo della Consulta, 5 settembre 2022…..cfr pag. 58 L’Unione non ha competenza generale ed omnicomprensiva, ma delimitata dal principio di attribuzione: “agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli stati membri per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti”, secondo l’art. 5 del TUE, che in due diverse norme (5, paragrafo 2 e 4, paragrafo 1), afferma e ribadisce: “qualsiasi competenza non attribuita all’Unione nei trattati appartiene agli stati membri”.

Le questioni sono rese più complesse dall’affiancamento di un secondo principio, quello di sussidiarietà, per cui nei settori non di competenza esclusiva l’Unione interviene soltanto “se ed in quanto gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli stati membri… ma possono, a motivo della portata o degli effetti dell’azione in questione, essere conseguiti meglio a livello di Unione”.

All’interno di tale ambito, il giudice nazionale deve applicare le disposizioni europee previa verifica che possano essere applicate direttamente, senza la mediazione di una legge nazionale. A tal fine, deve accertare che le disposizioni da osservare siano chiare, precise e suscettibili di applicazione immediata, non condizionata ad alcun provvedimento formale dello stato membro.   

La Costituzione ha una sua architettura e complessi equilibri interni. La disciplina concreta e specifica di un diritto sancito dalla Costituzione deve considerarli attentamente. A svolgere questa funzione è chiamato prioritariamente il legislatore ordinario. Il giudice, a sua volta, quando interpreta una norma, non può non tenerne conto. La difficoltà dell’interpretazione conforme alla Costituzione deriva spesso proprio dalla necessità di non assolutizzare un diritto ma di contemperarlo con altri diritti di pari o superiore rilievo costituzionale.

È evidente che questa complessa valutazione in sede interpretativa non può spingersi sino alla elaborazione di una norma nuova con l’assunzione di un ruolo sostitutivo del legislatore, né può spingersi ad elidere dall’ordinamento interno una norma vigente, assumendo un ruolo sostitutivo della Corte costituzionale. In tale ottica, mostra la sua inadeguatezza anche il meccanismo della “disapplicazione” della norma da parte del giudice nazionale.

Quando il bilanciamento oltrepassa i limiti della interpretazione e si colloca in una dimensione che richiede una decisione sul possibile contrasto tra una norma e i diritti riconosciuti a livello costituzionale allora il giudice comune dovrebbe fare un’operazione di self-restraint, rimettendosi tendenzialmente al giudizio di chi è specificamente attrezzato per tale tipo di valutazioni.

La controprova è nella efficacia erga omnes che la decisione del giudice costituzionale può assumere, in quanto, anche se occasionata da una specifica controversia, essa è diretta a rimodellare l’ordinamento alla luce della Costituzione con efficacia generale e non limitata alla soluzione dello specifico caso. E questo è un chiaro vantaggio per la ricalibratura del sistema ordinamentale che ne deriva.

Può accadere che la norma ponga un dubbio di contrasto tanto con un diritto riconosciuto dalla Costituzione, quanto con la Carta dei diritti fondamentali o più in generale con il diritto dei Trattati ed altre norme europee.  

[6] S.v. in questa rivistagiuridicadirittoecrsidimpresa.it aprile 2023 pagg. 79 e segg. di G.P. D’Amato dal titolo “Il consumatore ha sempre diritto alla riduzione del costo totale del credito se restituisce in anticipo il finanziamento”